Prigionieri del ghiaccio

Alla fine del giardino di casa mia, verso il bosco, c’è una siepe di bambù. La neve caduta qualche giorno fa ne ha incurvati alcuni fusti.

Le giovani canne, si sa, sono molto flessibili e resistenti: si spezzano, ma non si piegano.

Si sentivano forti ed elastiche e non avevano paura, conoscendo per antica memoria che la neve si sarebbe sciolta. Non potevano sapere che sarebbe arrivato un nemico più temibile: il ghiaccio, sotto forma di pioggia gelata che avrebbe ricoperto di un rigido involucro la neve. Sono rimaste intrappolate, impossibile risollevarsi.

  

Chiudevano il passaggio verso la casetta degli attrezzi. Passando di lì un giorno ho avvertito il loro richiamo, un senso di prigionia. Ho preso i fusti, uno per volta, e ho tirato per liberarli. Ci è voluta un po’ di forza  ma uno dopo l’altro,  d’impeto si sono risollevati. Eccoli di nuovo in alto a svettare contro il cielo terso di oggi. Nel ghiaccio sono rimaste alcune foglie e  qualche rametto. È stato necessario sacrificare qualcosa, in cambio della libertà.

   

Note sul bambù

Originari dell’estremo oriente, i bambù sono stati introdotti in Europa nell’Ottocento.
Fanno parte della famiglia delle graminacee. Gli steli (o canne) spuntano numerosi da lunghi rizomi che si diffondono velocemente nel terreno, fino a diventare una folta siepe; sono legnosi e perenni ed hanno foglie perenni, lunghe e strette.
A seconda delle varietà, possono essere piccoli o alti fino ad alcuni metri. Sono molto adatti a formare siepi e non richiedono molta manutenzione e potature.

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