Nella città proibita

In un Paese magico e incontaminato, il Tibet, una donna intraprende un cammino lungo e difficile per raggiungerne la capitale. E’ Alexandra David-Néel, una parigina innamorata dell’oriente, instancabile viaggiatrice. Era l’autunno del 1920 e agli stranieri era vietato l’accesso al Tibet. Travestita da mendicante, vivendo di elemosina, con la sola compagnia del suo figlio adottivo, il lama Yongden, percorse sentieri impervi, superò valichi innevati, affrontò il gelo, la fatica, la fame e innumerevoli rischi. Ma riuscì a raggiungere la sua meta.
Ho letto tutto d’un fiato il libro “Viaggio di una parigina a Lhasa”, edito Voland, un gradito dono ricevuto, nel quale racconta la sua avventura. Ho scoperto un Tibet a me sconosciuto.

Le avventure raccontate lasciano a volte senza fiato, come quando descrive l’attraversamento di un fiume, in questo caso il Giamo Nou tchou, con l’aiuto dei “battellieri”. In realtà si tratta di appendersi con un gancio a delle funi sospese sul fiume. La prima parte dell’attraversamento è più facile, in quanto le corde si abbassano verso l’acqua. Più difficile è la risalita; solo individui molto forti riescono a farcela senza aiuti, solo con la forza dei polsi. Non sempre è sufficiente la velocità acquisita nella discesa. Per questo vengono in aiuto i traghettatori che tirano la corda attaccata al gancio. Ma quando questa corda si spezza e la persona rimane appesa ad un pelo dell’acqua che scorre veloce, in attesa di qualcuno che venga a salvarla…

E poi i racconti dell’ospitalità, avara o generosa, dei pasti sempre uguali e scarsi.
Mi tocca in particolare la descrizione di una minestra preparata con acqua di fiume nella quale vengono fatti bollire pezzetti di lardo secco ed un pizzico di sale, un pugno di farina ed un desiderio di una rapa o di un ravanello che però non ci sono. “…i cani di mio padre non avrebbero mai mandato giù una simile brodaglia…”, scrive, eppure in mancanza d’altro “…questo profumo è lungi dall’offendere le narici dei vagabondi quali siamo diventati”

C’è poi la descrizione delle lunghe ore di marcia al buio e spesso a digiuno per non farsi notare, col rischio di farsi rimandare indietro. Eppure, nonostante la stanchezza, la fame, il freddo, i timori, non manca di ammirare la bellezza dei luoghi.

Superano valichi in alta quota sotto intense nevicate. Viene da chiedersi come abbiano potuto, spesso al buio, trovare il sentiero, se non grazie alla protezione di entità superiori che vivono in questa Terra. Si percepisce la forza interiore, la determinatezza, la resistenza. E, come scrive, “Non potei fare a meno di trovare incantevole la situazione in cui eravamo: il fascino di questa notte di neve, al centro di montagne innevate, fu per me tanto potente da trionfare su preoccupazioni e fatica… Lo spirito lontano da tutto, immersa in una indicibile serenità”

E quando il lama ha un incidente, dichiara: “Non si ritenga responsabile di quanto mi succede: la causa di tutto quanto ci accade è in noi stessi. Questo incidente è il risultato di atti commessi da me, con il mio corpo, la mia parola o il mio spirito, sia in questa vita, sia in altre che l’hanno preceduta. Né dei, né uomini, né demoni ne sono gli autori. Lamentarci non servirebbe a niente. Quindi, dormiamo…”
Quanta saggezza in queste parole!

Alla fine, dopo quattro mesi di cammino, raggiungono la meta. Quale meraviglia poter ammirare la città e i suoi templi! Trovano inaspettatamente un buon rifugio. La prima notte a Lhasa, prima di addormentarsi, esclamano insieme: “Lha gyalo!”, il grido di soddisfazione che si lancia ogni volta che una meta è raggiunta.
Poi, tranquillamente come vi era arrivata, lasciò Lhasa senza che nessuno avesse avuto il sospetto che una straniera vi avesse vissuto alla luce del sole per due mesi.

Scorrendo la sua biografia si scopre che Alexandra trascorse tutta la vita tra un viaggio e l’altro, un’esplorazione dopo l’altra, raggiungendo la considerevole età di cento anni (24 ottobre 1868-8 settembre 1969)

Un libro piacevole che sembra scritto oggi, da leggere.

viaggio di una parigina a lhasa

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